L’immaginazione è da sempre una delle facoltà più discusse in ambito estetico. Negli ultimi anni, tuttavia, una crescente quantità di dati sperimentali, provenienti in particolar modo dall’ambito psicologico e neuropsicologico, ha aperto nuove linee di ricerca e sollevato nuovi interrogativi circa questa facoltà. Per esempio, possiamo concepire l’immaginazione come uno specifico tipo di stato mentale o dobbiamo intenderla piuttosto come un’euristica simulativa, una capacità di riprodurre altri tipi di stati mentali? È davvero possibile distinguere l’immaginazione dalla memoria? È possibile interpretare disturbi psichici quali il delirio come specifiche “patologie dell’immaginazione”? Quale ruolo svolge l’immaginazione nella nostra capacità di fingere e di comprendere la finzione, e quali altre capacità richiede? I saggi raccolti in questo volume offrono un quadro ricco e variegato dei dati sperimentali oggi a disposizione e degli sviluppi che le teorie dell’immaginazione hanno avuto negli ultimi due decenni. Le conseguenze di queste ricerche non possono essere ignorate da chiunque sia impegnato a comprendere il ruolo che questa facoltà svolge nella produzione, comprensione e valutazione delle nostre attività artistiche. nuove teorie dell’immaginazione: Uno dei dibattiti che hanno dominato la filosofia della mente a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso riguarda la natura della psicologia ingenua, ossia la capacità – caratteristica degli esseri umani – di interpretare il proprio comportamento e quello altrui sulla base dell’attribuzione di stati mentali quali credenze, desideri ed emozioni. Così, io posso spiegare i fiori ricevuti dicendo che la persona che li ha mandati desiderava scusarsi con me, o posso spiegare il fatto di essere stata scontrosa con un amico dicendo che ero arrabbiata con lui, e così via. Com’è noto, questo dibattito ha visto contrapporsi due diversi schieramenti. I cosiddetti “Teorici della Teoria” interpretano la psicologia ingenua come il frutto dell’applicazione di una teoria, appunto, riguardo al funzionamento della mente: una teoria comparabile a quella di uno scienziato, costruita nel corso degli anni, per tentativi ed errori, secondo Gopnik e Meltzoff, oppure una teoria frutto dell’attivazione di una serie di moduli specializzati nel riconoscimento e nell’interpretazione mentalistica di una serie di stimoli ambientali (come la direzione dello sguardo, l’attenzione congiunta di più soggetti verso un oggetto…) secondo la teoria di Baron-Cohen, Leslie e Frith. L’opposto schieramento, quello dei “Teorici della Simulazione”, sostiene invece che alla base della nostra capacità di mentalizzazione (mentalizing), ossia di interpretazione del comportamento sulla base dell’attribuzione di stati mentali, vi sia piuttosto una pratica euristica, una capacità di immedesimarsi nei panni altrui e di riprodurre in se stessi gli stati mentali e i processi cognitivi che un’altra persona potrebbe intrattenere in una certa situazione (o anche che noi stessi intratterremmo in una situazione controfattuale). Kendall Walton ha offerto un esempio molto efficace di questa pratica. Immaginate di aver preso parte a un’escursione in una grotta, con un gruppo di speleologi. Siete discesi nella montagna per un bel pezzo: i passaggi ora si fanno sempre più stretti. Continuate ad andare avanti, ma a un certo punto rimanete incastrati con il vostro zaino tra le pareti; chiamate il compagno dietro di voi, ma vi rendete conto che non c’è più nessuno; dopo un po’ di tempo la luce sul vostro caschetto si spegne all’improvviso e voi rimanere immersi nella più completa oscurità, soli e senza la possibilità di andare avanti o tornare indietro. È evidente che chiunque provi a immaginare la situazione descritta risponderà con determinate sensazioni: paura, angoscia, forse panico. Ed è altrettanto evidente il ruolo svolto dall’immaginazione in questo processo di simulazione: l’immaginazione offre alla mente degli input, ci consente di rappresentare percettivamente e doxasticamente la situazione nella quale ci troveremmo, e di ragionare sulla base di questi stati mentali fittizi (pretend mental states) come se fossero nostri stati genuini, ossia come se fossero nostre attuali percezioni e credenze, giungendo alle medesime conclusioni a cui giungeremmo se ci trovassimo davvero in quella situazione. In altre parole, l’immaginazione ci consente di prevedere come risponderemmo a quella situazione, di anticipare le nostre emozioni, i nostri pensieri, e soprattutto le nostre decisioni.
nuove teorie dell’immaginazione
Daniela Tagliafico, Introduzione
Gregory Currie, Sul godimento della tragedia
Fabian Dorsch, Hume e l’immaginazione ricreativa
Kevin Mulligan, Philip Gerrans Immaginazione, default thinking e incorporamento
Cain Todd, Immaginazione, attenzione e raffigurazione
Daniela Tagliafico, Che cos’è uno stato mentale fittizio?
Margherita Arcangeli, Immaginare è simulare: cosa e come?
Gaetano Albergo, L’impegno ontologico del pretense
varia
Tiziana Andina, L’importanza degli affetti. Note per una ontologia sociale incorporata
Stefano G. Azzarà, Ermeneutica, «Nuovo Realismo» e trasformazione della realtà. Una radicalizzazione incompiuta per la filosofia italiana
Babette Babich, Genius loci – Lo spazio scolpito e il mistero di Nietzsche, Lou e il Sacro Monte
Filippo Domaneschi, Scambi di sensi e comprensione metaforica
recensioni
Paolo Babbiotti, Andy Warhol: Sublime Superficiality di Michael Angelo Tata